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Immagine del redattoreAlessia Luongo

Possono le vecchie storie ancora innamorarci? Credendo vides! Su "Elisir d'amore" di G. Donizetti

Quando mi ritrovo di fronte a una qualche opera o melodramma o qualsiasi tipo di rappresentazione, la prima domanda che mi pongo è "Il pubblico verrebbe a sentirla a teatro? Alle persone una storia del genere riesce ancora a suscitare qualche forma di emozione?".

La domanda gradirei fosse retorica, ma di questi tempi purtroppo non è affatto così.

Non scherzo che quando ho posto questa domanda di fronte a cantanti e musicisti abbiano preso questa mia provocazione, come un argomento su cui concordare e ridere dell'opera che prendo in considerazione: "Elisir d'amore", di Gaetano Donizetti.

Lungi da me iniziare a elencare diverse rappresentazioni che poco funzionano oggi per regia e idee, per capacità di comunicazione col pubblico, io resto dell'idea che l'artista debba sempre rivolgersi alla gente e chiedersi perché oggi dovrebbe assistere a un qualche melodramma o tragedia e a ridere, emozionarsi e piangere.

ELISIR D'AMORE è un'opera lirica di Gaetano Donizetti, su libretto di Felice Romani. E' composto da due atti, di cui il primo sono dieci scene e il secondo nove. Andò in scena per la prima volta il 12 maggio del 1832 al Teatro della Cannobiana di Milano.

La trama è nella sua semplicità, geniale, con i colpi di scena tipici del teatro popolare che nel XVII secolo conquistavano tutta Europa; le trame della commedia dell'arte che sopravvivendo ai canovacci orali degli attori, costretti a metterli per iscritto, sono stati presi da librettisti e compositori per poter avere un substrato di materiale immenso e profondo. Ecco quindi che Dulcamara è la maschera di Balanzone, Nemorino e Adina i due innamorati contrastati, Belcore il Capitano e Giannetta la servetta. Oltretutto, il rimando classico e l'incidente tipico della commedia dell'arte lo vediamo proprio nell'espediente dell'eredità nel finale che svela le intenzioni buone o cattive dei personaggi. Di questi canovacci ne abbiamo vasta testimonianza e raccolta. Fonte preziosa è infatti "Il teatro delle favole rappresentative", a cura proprio del Flaminio Scala, commediante teatrale che opera agli inizi del 1600 che scrive e riporta trame e scheletri di esibizioni per le proprie compagnie e non solo. Egli scrive e riporta numerose storie in cui con l'escamotage dell'elisir (veri o presenti) si rivelano gli arcani delle situazioni. Bisogna però capire che tanto di ciò che era declamato era improvvisato, come infatti in questa opera noi sentiremo.

Prenderò in considerazione per l'analisi musicale di questa opera di Donizetti l'edizione di Ricordi.

La mia ricerca musicologica si è quindi interessata alla ricerca del debutto, della genesi, del primo cast, di tutto ciò che questa grande opera che fu un successo era "prima". Perché come l'idea si sviluppa e convalida è una caratteristica importante.

Ho lavorato su fonti più storiche e più recenti partendo dalle cronache d'epoca e il confronto con quelle più recenti. I risultati che ho voluto ottenere è come effettivamente si parla di un canovaccio, ma come ovviamente siamo in una sua forma più evoluta. E per canovaccio intendo anche le intenzioni dello stesso compositore che si riveleranno proprio alla prima andata in scena di "Elisir d'amore" del 1832.

Secondo me questa opera dovrebbe ancora essere rappresentata ma regalando al pubblico sensazioni ancora più vissute e popolari, ricercando la sua matrice originale di una storia raccontata dal popolo per il popolo. Ricercherei per tale scelte registiche che possano comprendere l'utilizzo di maschere e scelte musicali che possano comprendere l'ultilizzo del clavicembalo, come viene menzionato nella sua prima esibizione e nel primo libretto. Non recupero storico, ma la restituzione dell'immaginario per la gente.

L'analisi è stata svolta sullo spartito per canto e piano stampato da Ricordi (1944, n.ed.: 41688; RCSV).

La presenza intermittente, ma carica di significati, del clavicembalo nei recitativi secchi, di un’orchestra particolarmente espressiva in quelli accompagnati, contrapposta, all’altra estremità, da un empito sinfonico che travolge tanto la convenzionalità delle situazioni «buffe» quanto la distesa cantabilità dei momenti lirici, ariosi. E sovente, questi estremi, riavvicinati fino a toccarsi. Il più alto momento: la prodigiosa successione nel finale dell’opera, dove dal culmine sinfonico-vocale della romanza di Nemorino («Una furtiva lagrima», aperta dal memorabile solo del fagotto), si ridiscende di colpo al recitativo secco («Eccola… Oh! qual le accresce»), si passa poi al recitativo accompagnamento (Adina: «Dimmi: perché partire»), per ascendere simmetricamente al culmine espressivo dell’aria di Adina («Prendi, per me sei libero») e di lì sfociare nel duetto, e di lì ancora, senza interruzione, nell’apoteosi finale. Psicologia e senso del teatro in una padronanza perfetta dei mezzi compositivi si danno qui la mano, fuor d’ogni convenzionalità.

CAVATINA DI NEMORINO: Il timido contadino Nemorino, inamorato di Adina ma non corrisposto, la guarda estasiato. La cavatina è "Quanto è bella, quanto è cara". Un larghetto che diventa sempre più allegretto durante. Abbiamo da subito un'impressione molto chiara del personaggio, che presenta sé stesso proprio come un idiota. La cavatina è su un andamento di 2/4 dove la bravura del cantante deve essere quella di alleggerire senza sembrare troppo sciocco; il ruolo di Nemorino è di essere sciocco ma non sfuggire nell'essere qualcosa di didascalico. La sua cavatina fin dalla scelta della tonalità di do maggiore un palpito amoroso trasparente ed elementare.

CAVATINA DI ADINA: l’entrata di lei è mediata dalla lettura della storia di Tristano e Isotta e del fatale filtro d’amore. Bisogna che chi la interpreta abbia una tecnica vocale solida, acuti squillanti, agilità fluide e una mimica attoriale che ben si adatta alla ricca e capricciosa fittaiuola. La cavatina di Adina parte con un delizioso 6/8 che ben introduce al personaggio e al suo personaggio, Il coro le risponde e lei splende in mezzo a questo illustrando ciò che la emoziona.

CAVATINA DI BELCORE: Con una marcetta assistiamo all'arrivo di Belcore. Una marcetta preceduta da un tamburo che dona teatralità alla scena. Belcore su un 4/4 militaresco preceduto da un larghetto si introduce e conquista la scena e presenta tutte le sue caratteristiche. Donizetti ben esprime il carattere del personaggio stavolta in sfoggi tecnici che sembrano quasi allontanare dalla funzionalità effettivamente della storia, ma appunto sottolineano e confermano quanto questo personaggio sia più vicino al ruolo del pavone. Infatti deve essere rozzo e un po’ sguaiato, si deve percepire che la fanfara continua nella sua testa e non si interrompe cantando. Infatti è un firmaiolo, un militare.Quindi proprio con il linguaggio Donizetti differenzia i  caratteri dei due amanti: umile, intimo, raccolto, per Nemorino e invece magniloquente, artificioso, volgarotto Belcore.

CAVATINA DI DULCAMARA: Al suo arrivo nel villaggio dei Paesi Baschi, Dulcamara si presenta agli abitanti illustrando con un lungo sillabato le qualità dell'elisir. La cavatina di presentazione è articolata in quattro parti, a loro volta ulteriormente suddivise. La prima parte è costituita da un maestoso in 4/4 di poche battute cantate da Dulcamara in modo pomposo in cui chiede l'attenzione dei rustici, seguito da un parlato ben scandito con cui il dottore si presenta per nome e titolo e infine da un breve recitativo. La seconda parte, sempre in 4/4, inizia con un breve andante (8 battute) in cui il mercante fornisce, in modo solenne, alcune specificazione del proprio mestiere; l'andante lascia poi il posto ad un più allegro contenente il sillabato del buffo sulla réclame dell'elisir cantato con "aria da ciarlatano", alternato da commenti del coro dei paesani che esprimono meraviglia per le qualità della bevanda nonché per l'onestà e la bontà dell'ambulante. La terza parte è rappresentata da un breve andante in 4/4 in cui Dulcamara reclamizza con un declamato il prezzo di vendita di favore offerto. L'ultima parte è infine costituita da un allegro vivace in 3/8 in cui egli invita i paesani a farsi avanti; la linea del canto è assai variata; lo spartito richiede addirittura il tono tragico quando il dottore, pur di realizzare l'affare, fa un patetico richiamo alla patria. La cavatina di presentazione richiede nel suo complesso un'estensione dal la' al mi3.




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